“When we shop we vote” è una frase che mi è capitata sotto al naso durante le mie ricerche su economia sostenibile che è stato un enorme spunto di riflessione: dietro ad ogni bene commercializzato esiste un universo e per ogni bene che acquistiamo, prestiamo implicitamente (e purtroppo spesso inconsapevolmente) consenso a certe politiche etiche, sociali ed ambientali.

Ogni bene in commercio viene prodotto da qualcuno: per il consumatore, invece, il bene si limita ad essere un oggetto – che a seconda del bisogno più o meno indotto dalla società e dalla pubblicità – passibile di acquisto. Più beni di un certo tipo il consumatore acquista, più il mercato tenderà a produrne per proprio profitto e viceversa: meno beni di un certo genere vengono acquistati e meno verranno prodotti. La banale legge della domanda e dell’offerta su cui si basa il mercato.

Quello su cui purtroppo ci fermiamo a riflettere troppo poco è l’universo che esiste dietro un prodotto: chi è l’azienda che lo produce? Su quale etica si basa? Quali sono le sue politiche lavorative ed ambientali? Non ci chiediamo mai se i lavoratori sono sfruttati e sottopagati. Non ci chiediamo mai da dove derivano le materie prime con cui viene fabbricato: talvolta (spesso) le materie prime provengono dall’abuso di un territorio. Spesso, inoltre, l’economica fast-fashion che ci fa tanto comodo è il risultato di sfruttamento di manodopera a basso costo. Insomma: i risvolti dei nostri acquisti hanno effetti sull’economia mondiale e sulle politiche.

Quando noi acquistiamo un prodotto che viene fabbricato da un’azienda che sfrutta i lavoratori e il territorio da cui si procura le materie prime, senza preoccuparsi delle conseguenze ambientali delle proprie azioni diamo implicitamente la nostra approvazione a queste politiche. Il messaggio che passa con un semplice acquisto è “si, a me va bene così quindi pagando per questo bene, sostengo questo tipo di scelte dell’azienda produttrice”.

E’ un controsenso dichiararsi ambientalisti e poi comprare magliette a tre euro prodotte in asia da lavoratori sottopagati, prodotte con materiali sintetici che – una volta eliminati – nuoceranno gravemente all’ambiente e dunque a noi di rimbalzo.

Il consumo responsabile

Non è sempre facile indagare l’esatta provenienza dei beni che acquistiamo, ma è fondamentale iniziare a porsi queste domande se il nostro intento è quello di vivere in linea con un’etica sostenibile.

Proprio in virtù della legge del mercato della domanda e dell’offerta, se i consumatori, ognuno nel proprio piccolo, iniziassero a fare scelte diverse da un punto di vista di acquisti, il mercato necessariamente cambierebbe rotta. Non per buonismo, né per etica: per proprio profitto. Banale esempio: se i consumatori iniziassero a preferire le saponette al posto dei bagnoschiuma in flacone, le aziende produttrici inizierebbero a convertire la loro offerta in tal senso per non perdere la fetta di acquirenti. E’ la domanda del consumatore che decide in che direzione deve andare il mercato, non viceversa. E chi è il consumatore? Ognuno di noi. Invertire la tendenza è possibile e per farlo è necessario iniziare ad adottare piccoli accorgimenti, ognuno nel proprio piccolo.
Due sono principalmente le domande da porsi:

  1. indagare chi sono le aziende che producono i beni che acquistiamo e qual è l’etica su cui si fondano: da un punto di vista di tutela del lavoratore e da un punto di vista di tutela ambientale. Da dove recuperano le materie prime? Nell’epoca di internet (con il giusto senso critico) è molto più semplice di una volta reperire queste informazioni.
  2. di che materiali è fatto il prodotto che acquisto? sono materiali ecologici, ovvero che una volta terminato l’utilizzo potranno essere riciclati o smaltiti nell’ambiente oppure sono materiali che, una volta diventati rifiuti, alimenteranno l’inquinamento perché qualora dispersi intaccheranno il suolo ed il mare oppure se smaltiti a mezzo inceneritore produrranno tonnellate di CO2 (anidride carbonica) che è uno dei principali gas responsabili dei cambiamenti climatici?

E’ impegnativo? Un po’. Non sempre è immediato ragionare in questi termini, soprattutto se non ci hanno abituati sin da piccoli. Le abitudini sono la cosa più difficile da sradicare proprio in virtù del loro automatismo. E’ un percorso. E’ fattibile? Assolutamente si. Pian piano, diventando consumatori consapevoli queste domande affioreranno alla nostra mente in automatico.

Se da un lato è vero che è necessario che tutti coloro che si trovano in posizioni apicali (sia in termini di politica che di mercato) devono modificare i loro standard in direzioni che tutelino maggiormente l’ambiente, dall’altro lato è indispensabile che – nell’attesa che ciò avvenga – ognuno dia il proprio contributo facendo scelte etiche in materia di acquisti. Talvolta ci sembrano gesti minuscoli, ma se iniziamo a moltiplicarli per tutte le persone del mondo, i numeri iniziano a diventare importanti. E’ indispensabile capire profondamente che ognuno fa davvero la differenza.

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