L’economia circolare è la strada giusta da percorrere se desideriamo avere un futuro più sostenibile. Rifò è un’azienda di abbigliamento toscana che, recuperando in varie forme gli scarti tessili, li riutilizza come materie prime nella produzione e commercializzazione di nuovi capi.

Moda, etica e sostenibilità

Per affrontare in maniera esaustiva l’impatto ambientale che l’industria della fast-fashion sull’ambiente, sarebbe necessario approfondire il tema dedicando ad esso molto tempo e spazio. Ne approfitto dunque per rimandare a questo post scritto qualche tempo fa su questo stesso blog, dal quale riprendo una semplice riflessione.

Immaginiamo una maglietta, sintetica, made in Bangladesh, venduta a Milano centro per € 4,00.

In questi € 4,00 sono compresi i costi di recupero delle materie prime, i costi di stabilimento, di manodopera, di trasporto intercontinentale, i costi di negozio, di stipendio dei dipendenti, di campagne marketing (per citare i più grossi).

Se davvero questi € 4,00 sono in grado di coprire tutti questi costi, c’è qualcosa che non torna. Forse il recupero delle materie prime non avviene nel rispetto dell’ambiente? Forse le condizioni a cui i lavoratori producono la merce non vedono tutelati i propri diritti? Senza contare l’impatto ambientale dato da scarti di tessuti in fibre sintetiche.

Se partiamo dal presupposto che il termine sostenibilità includa sia la sostenibilità ambientale che sociale ed economica, forse un capo come sopra descritto non è poi così sostenibile.

La sostenibilità ambientale è la condizione di uno sviluppo che sia in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. 

Quando acquistiamo un capo, prestiamo il nostro tacito consenso a tutte le politiche che si celano dietro la sua produzione.

Qual è dunque un modo per assumere consapevolezza e diventare consumatori responsabili, che compiono scelte realmente in linea con i propri valori? Affidandoci ad aziende trasparenti, ovvero di cui conosciamo le politiche lavorative, da dove arrivano le materie prime e quali sono i valori (e perché no, le persone) dietro una realtà aziendale.

E proprio in questo contesto è nata l’intervista a Niccolò, fondatore di Rifò, una giovane realtà imprenditoriale italiana, che si occupa di recuperare scarti tessili a quali restituire una nuova vita, in un’ottica del tutto circolare.

Come nasce Rifò

Gli albori di questo progetto risalgono ad un’esperienza lavorativa di Niccolò (fondatore) in Vietnam. Durante la permanenza nel paese asiatico, Niccolò ha avuto modo di assumere reale consapevolezza in merito al problema della sovrapproduzione di beni nel settore dell’abbigliamento. Non è un segreto, infatti, che nell’industria tessile si produca molto di più di quanto venga consumato.

Le strade di Hanoi, racconta, sono piene di negozi dal nome “Made in Vietnam”: vendono capi di abbigliamento prima prodotti in Vietnam poi esportati in Occidente, invenduti in Europa sono rispediti in Vietnam.

Questo avviene per evitare di abbassare i prezzi del mercato occidentale. Una volta non venduti anche in Vietnam, questi indumenti sono gettati in discarica o in un inceneritore.

Alla luce di queste informazioni, a Niccolò è venuta in mente l’idea di riprendere una nota tradizione pratese che consiste nel rigenerare tessuti, utilizzando i vestiti che vengono buttati via per rifarci un nuovo filato. 

Tornato in Italia, dunque, Niccolò entra in contatto con Daniele (product developer) per dare forma concreta a questo progetto di economia circolare. Il team si è dunque espanso, con l’inserimento di Clarissa, Camilla e Martina: oggi è composto da cinque persone meravigliose che condividono gli stessi valori etici e di rispetto dell’ambiente.

L’etica dell’azienda: filati rigenerati partendo da rifiuti tessili

Rifò nasce per proporre un prodotto etico realizzato a Km 0 a Prato, da famiglie che portano avanti da anni tradizioni di tessuto, filatura, sfilacciatura e maglieria.

In più, l’intento è quello di utilizzare filati rigenerati da scarti tessili e il cui processo produttivo consente un grande risparmio di risorse naturali.

Ecco come funziona la filiera

I vecchi indumenti vengono acquistati nel mercato della materia prima seconda, donati direttamente dai clienti tramite il sito di Rifò oppure arrivano da negozi. Una volta radunati e selezionati per colore, i capi vengono sfilacciati e riportati allo stato di fibra per mano di una categoria di artigiani che si chiama “cenciaioli“.

Dalla fibra si arriva al filato. Il filato è ciò che viene utilizzato per confezionare capi come maglioncini oppure per sviluppare tessuti che, a loro volta, verranno confezionati in capi come giacche o t-shirt.

Non tutti gli indumenti in commercio sono riciclabili

Molti degli indumenti che si trovano in commercio non sono riciclabili in quanto generalmente composti da un mix di fibre sintetiche.

Per rigenerare un tessuto, è necessario che questo sia almeno al 95% puro (ad esempio 95% cotone).

Naturalmente, per il tipo di produzione, i capi di Rifò hanno dei costi più alti rispetto ai beni distribuiti nel mercato della fast fashion. I prezzi, tuttavia, sono parametrati al valore del prodotto.

Di fatto, possedere meno capi di qualità, al posto di varie decine di capi di scarsa qualità e non sostenibili da un punto di vista ambientale (nonché sociale ed economico), risulta – a parità di spesa – essere una scelta più sostenibile.

Questo è l’ennesimo esempio virtuoso di imprenditoria giovanile che, assumendo consapevolezza dell’importanza delle risorse e dell’impatto ambientale della produzione, commercia beni in maniera etica e sostenibile.

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