Uno dei motivi che mi ha spinto ad aprire questo blog, è il desiderio di diffondere buone pratiche di sostenibilità che possano essere da esempio e fonte di ispirazione. Sto incontrando sempre più persone, giovani, che decidono di fare delle proprie abilità manuali una vera e propria attività, alla riscoperta del valore dell’artigianato, in netta contrapposizione con il concetto (non più sostenibile e spesso neanche etico) della grande distribuzione. Come chi è riuscito ad inventarsi un lavoro dal riciclo di materiali.
Quando l’usa e getta viene soppiantato dall’usa e riusa
Siamo abituati, sin da piccoli, a trasformare i beni che usiamo in rifiuto subito dopo il loro utilizzo: anche quando un bene si rompe quasi mai siamo portati a tentare di ripararli, è più comodo sostituirli con un nuovo bene. Stoviglie usa e getta, tovaglioli di carta usa e getta, imballaggi per alimenti usa e getta, macchine fotografiche usa e getta, rasoi usa e getta, flaconi di saponi o detersivi usa e getta, contenitori di ogni sorta usa e getta. Usa e getta è il leit-motiv che accompagna le nostre esistenze: caratterizza tutta l’epoca post-industriale ove i macchinari hanno soppiantato il lavoro dell’uomo e le imprese hanno capito che si guadagna di più producendo beni in massa per via dell’abbattimento dei costi. Tuttavia, sul lungo termine, questo abbattimento di costi di produzione si è rivelato un costo troppo grande in termini ambientali e di sostenibilità.
Alcune considerazioni sugli sprechi
Ci pensate mai a quanti rifiuti si potrebbe evitare di produrre se (re)imparassimo ad andare al negozio coi nostri contenitori o flaconi da riempire (con costi minori poiché si elimina quello del packaging) al posto di acquistarne e gettarne di nuovi ogni volta? Se, ad esempio, usassimo saponette comprate sfuse al posto dei bagnoschiuma? Se acquistassimo frutta e verdura sfuse al posto di imballate in packaging di plastica? Potrei andare avanti a lungo con svariati esempi. Il punto rimane uno: re.imparare a dare il giusto valore a ciò che viene generalmente considerato come rifiuto, il quale, invece, potrebbe anche avere un nuovo utilizzo seppur differente da quello originario.
La stanzetta del riciclo
Recentemente ho conosciuto Alessandra, una ragazza di 32 anni con la quale condivido le origini sarde di cui vado molto orgogliosa. Alessandra è cresciuta in aperta campagna in mezzo agli animali: il fatto di avere una famiglia numerosa l’ha educata a non sprecare le risorse, dal cibo agli oggetti. Lo spreco è qualcosa che mal si concilia con il dover sopperire ai bisogni di una famiglia di tante persone, soprattutto quando non si possiede molto: è più facile comprendere il reale valore di ogni bene che spesso, purtroppo, ormai tendiamo a dimenticare. Questo approccio alla vita è qualcosa di cui Alessandra ha fatto tesoro anche adesso che è adulta: non getta mai niente, nella consapevolezza che se un bene non è più utile per lei, magari potrebbe esserlo per qualcun altro.
Il riciclo è da sempre per Alessandra una vera e propria regola di vita.
Casualmente, in un periodo in cui si è trovata senza lavoro e in fase di riabilitazione da un intervento alla mano, ha iniziato a cucire. Sperimentando con la vecchia macchina da cucire della madre (la quale non era in grado di utilizzarla in maniera appropriata, racconta Alessandra), ha iniziato a recuperare scampoli e tessuti di scarto che trovava in giro: era quasi un gioco, certo non intendeva acquistare tessuti nuovi per imparare.
Usava, per esempio, gli scarti dei pantaloni del padre che la madre puntualmente accorciava per adattarli alla statura del marito: noi sardi, si sa, abbiamo poco in comune coi vatussi. Alessandra ha imparato tutto da sola, con qualche utile aiuto dai tutorial gratuiti su youtube. Così, da un passatempo, Alessandra è diventata sempre più esperta fino a decidere di investire in una macchina da cucire più moderna per creare oggetti sempre più elaborati, disegnando di proprio pugno i cartomodelli per gli accessori.

Raccontando questa nuova passione ad amici e conoscenti, ha iniziato a raccogliere scarti di tessuti da tutte le parti.
In breve tempo la stanza di Alessandra è diventata un deposito di abiti vecchi, jeans e camice rotti che sarebbero stati buttati, ombrelli rotti e campionari di merceria e tappezzeria: tutto ciò che generalmente viene buttato senza troppi ripensamenti. Una vera e propria stanzetta dedicata al riciclo.
In breve tempo, quella di Alessandra è diventata una vera e propria missione di recupero.
Adesso vive in Piemonte, nella provincia di Cuneo: recupera i materiali recandosi personalmente di negozio in negozio, da rivenditori di mobili e arredamento fino a mercerie e sartorie, chiedendo campionari vecchi o scarti di stoffa che verrebbero gettati. Ha creato una vera e propria rete per cui, di volta in volta, sono ormai gli stessi negozianti a chiamarla per regalarle la merce di scarto. Per quanto riguarda i vestiti, sono le persone che desiderano rendere una nuova vita ai loro capi e prendono contatti con lei (lastanzettadelriciclo@gmail.com) per poi inviare pacchi di abiti vecchi a mezzo posta.
Il messaggio di Alessandra

Oltre ad aver creato un vero e proprio lavoro dagli scampoli, il messaggio che Alessandra intende passare è quello che spesso basta davvero poco per restituire vita a beni che erroneamente, spinti dal nostro modo di pensare usa e getta, consideriamo come rifiuto alla prima scucitura.
Non ci vuole troppo impegno: è una questione di mentalità e approccio ai consumi. Se riuscissimo ad assumere un po’ più di consapevolezza, diventando consumatori responsabili, non servirebbe molto per imparare a recuperare e riutilizzare tanti oggi ancora funzionali – seppur per nuovi scopi rispetto agli originali.
Nella speranza che la storia di Alessandra possa essere di ispirazione per qualcuno, se siete curiosi di dare un occhio ai lavori di recupero di Alessandra, condivido qui il link della Stanzetta del Riciclo su Etsy.