Domenica sono andata da mia nonna per pranzo. Per qualche motivo siamo finite a parlare della prima volta che ha posseduto un televisore: era il 1960 e lei e il nonno si erano appena trasferiti a Milano da terra del sole. La TV era arrivata nel 1954, ma non era certo un bene di prima necessità per una famiglia contadina nativa dell’entroterra sardo, che si è successivamente trasferita in emilia romagna, sempre per coltivare la terra.
La prima TV fu un regalo di una coppia di amici del nonno: prendeva un solo canale nazionale e talvolta la televisione svizzera.
La mia nonna è nata nel 1928 e nel suo metro e mezzo di altezza racchiude una forza della natura.
Forse perché è cresciuta respirando aria pulita, mangiando i frutti della terra appena colti: dalla frutta alla verdura, finanche alla carne e alle uova e tutto ciò che dagli animali può derivare. Altro che merendine.
Tendenzialmente animali domestici di cui non si buttava niente: gli unici che non si mangiavano erano quelli forza-lavoro. Tutti allevati in libertà e con grossa cura, poiché erano una risorsa importante. All’epoca si viveva in armonia con i cicli del sole, alzandosi presto e coricandosi dopo il suo calare. Ad ogni cosa veniva dedicato il tempo necessario, la fretta non era un atteggiamento conosciuto.
Le sue lenzuola sono ancora quelle che le hanno regalato al matrimonio (1955 in chiesa “in gran segreto”, 1957 ufficiale) e sono in ottimo stato. Gli utensili da cucina sono gli stessi dall’86 (anno in cui hanno cambiato casa a Milano).
La nonna ha cucito vestiti per tutta la famiglia: per me, mia mamma, per il nonno e per sé stessa. Ogni avanzo o scampolo era utile per tirar fuori qualche altro capo. Se un vestito si rompe, si mette una toppa. Se non va più bene, si allarga, si accorcia o allunga. E se proprio è ridotto da buttare, diventa un utile straccio per le faccende domestiche o una pratica fodera per la cuccia del cane.
La spesa era sempre sfusa quando lei era giovane: si andava dal macellaio, dal fruttivendolo o droghiere di fiducia con il quale si instaurava sempre un rapporto amicale. Questo voleva dire conoscere con sicurezza la provenienza delle merci e potersi fidare.
Mia nonna non acquista cose che non le servono e tutto ciò che ha, lo riutilizza in qualche modo. Ad esempio, l’alluminio della carne del macellaio lo conservava perché poteva avvolgerci la frutta e la verdura da conservare in frigo, senza doverne acquistare di nuovo.
Così é arrivata a 91 anni e rotti, più lucida di me.
Cosa è cambiato da allora?
La rivoluzione industriale ed il capitalismo hanno creato nuovi valori su cui la nostra civiltà oggi si basa. Questi valori, non sono affatto sostenibili: non facciamo in tempo ad acquistare un bene che questo subito risulta obsoleto e sentiamo il bisogno (irreale) di doverlo sostituire con il nuovo modello, al passo coi tempi, per non restare indietro, per non rimanere esclusi. L’approccio alla vita “usa e getta” , è ormai così portato all’estremo che si estende finanche ai rapporti umani.
E’ un approccio che sta distruggendo il pianeta e noi stessi: ci rende infelici, ci fa sentire costantemente inadeguati e sempre alla rincorsa di qualcosa senza un attimo di tregua. Questo approccio ci fa percepire come necessari beni che in realtà sono del tutto superflui al benessere, ci fa perdere tempo e soldi e – soprattutto – salute.
Dobbiamo rifocalizzarci su quello che conta davvero.
E allora domandiamoci: cosa conta davvero?
Reimparare le vecchie abitudini che sono state scardinate dalla rivoluzione industriale e tornare alla genuinità dei valori e dei bisogni (i bisogni reali, non quelli indotti dall’industria) é la via che abbiamo (assieme al passaggio da una economia lineare come la nostra ad una economia circolare) per ridurre l’impatto ambientale della nostra specie poiché oltre a distruggere il pianeta, stiamo distruggendo noi stessi.
Oltre che giovare del fatto che, un ritorno ai bisogni reali, ci consentirebbe di investire più risorse su quello che conta davvero, come noi stessi e i nostri affetti, senza insensate dispersioni di energia.