In questo post dal titolo intenzionalmente provocatorio, affronto un argomento tanto semplice, quanto importante: in qualità di consumatori abbiamo nelle nostre mani un potere enorme, dovremmo iniziare ad utilizzarlo in maniera consapevole.

I nostri consumi

Spesso mi capita di ascoltare conversazioni di persone che si confrontano sulla situazione climatica e sull’impatto ambientale dell’essere umano che, dall’epoca industriale in poi, ha innegabilmente provocato numerosi cambiamenti. Non è un segreto che con l’avvento dell’industrializzazione e della produzione di massa su larga scala l’approccio al consumo sia radicalmente mutato.

Il consumismo – che caratterizza la nostra società odierna – infatti, è direttamente collegato al problema dell’inquinamento. Le industrie producono beni a catena e l’abbattimento dei costi di produzione ha dei risvolti inevitabili sull’ambiente. L’inquinamento prodotto dai macchinari, dai trasporti transfrontalieri (e transoceanici) comporta un alto livello di emissioni di gas tossici nell’ambiente, gli imballaggi monouso di plastica (materiale economico e duraturo) necessari a trasportare le merci vengono smaltiti in una maniera che, come ben sappiamo, danneggia l’ecosistema.
Ho già affrontato diverse volte il tema del riciclo e perché il riciclo (soprattutto di plastica) non sia una risposta adeguata.

Le semplici regole del mercato

Partendo da questa premessa, è necessario ripassare velocemente i meccanismi di funzionamento del mercato che sono tendenzialmente molto semplici. Lo scopo delle aziende, come quello di ogni attività commerciale, è naturalmente – e giustamente – il profitto: si tendono a produrre beni che vengono acquistati dai consumatori e si smette o evita di produrre quei beni che invece non apportano utili. Un banale esempio: se sono un commerciante e vendo borse rosse e borse verdi, ma le borse rosse non le acquista nessuno, tenderò a produrre più borse verdi (e non borse rose) perché mi rendo conto che quelle verdi vengono vendute e quelle rosse no. Quelle rosse sarebbero una spesa inutile e quelle verdi una fonte di guadagno su cui investire. Questa è la legge della domanda e dell’offerta: l’industria produce ciò che viene consumato per poterne trarre profitto. Sopperisce alla domanda del consumatore. Se c’è domanda, il bene viene prodotto. Se non c’è domanda, è irragionevole produrre.
Purtroppo spesso la rincorsa del profitto tende a fare a pugni con l’etica.

Bisogni indotti e bisogni reali

E’ un meccanismo abbastanza semplice e immediato da comprendere.
Un aspetto che è dunque necessario approfondire è quello della “pubblicità, ovvero il mezzo attraverso il quale la nostra percezione dei bisogni viene veicolata. Sono infiniti i risvolti che si celano dietro un banale cartello pubblicitario.

Spesso le tecniche di marketing riescono a farci percepire come necessario un bene che, in realtà, non lo è per niente. I messaggi che passano sono tendenzialmente “se possiedi questo bene il tuo valore come individuo aumenta“. L’essere accettati da parte degli altri consociati, è un’esigenza innata nell’individuo. E’ semplicissimo cadere in queste trappole: il bisogno di accettazione e le dinamiche che esso comporta, è presente nella nostra realtà dal momento in cui nasciamo pertanto talvolta è difficile imparare a individuarle e slegarsene.

Quello di cui sto parlando sono i “bisogni indotti” ovvero quelli che riteniamo socialmente necessari, quando in realtà, di fatto, sono del tutto superflui. E non solo superflui: riescono a diventare immediatamente obsoleti poiché, l’istante dopo in cui si sopperisce ad un bisogno indotto, ecco che ne emerge un altro a cui far fronte, in una rincorsa senza fine per poter essere socialmente adeguati al contesto in cui viviamo. Questo è il capitalismo: la continua ed irragionevole produzione di beni che sopperiscono a bisogni del tutto illusori, che immediatamente diventando obsoleti producono scarti.

Guardatevi attorno: quanti beni possedete che non apportano alcun valore aggiunto alla vostra vita? O dei quali non avete, di fatto, assolutamente bisogno? La chiave risiede nel riassumere consapevolezza in relazione ai bisogni, individuando quali siano bisogni effettivi e reali a cui è necessario sopperire e quali invece siano “bisogni indotti”. Ciò non esclude in radice la possibilità di togliersi uno sfizio o farsi un regalo: la linea di discrimine sta nel assumere le proprie scelte con consapevolezza e responsabilità.

Per chiunque volesse approfondire l’argomento, suggerisco i testi di Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco che offre una lucida (e inquietante) analisi della società moderna, che egli stesso definisce “società liquida”.

Il ruolo cruciale del consumatore

Qui si giunge al ruolo cruciale del consumatore: posto che l’offerta dell’industria sopperisce alla domanda, qualora la domanda si modificasse, anche l’offerta del mercato si modificherebbe.

Un esempio lampante è quello dei dentifrici in Islanda. Avete presente l’involucro di cartone che confeziona i tubetti di dentifricio (i quali comunque sono sigillati)? Quello è un packaging del tutto inutile. Comporta dei costi di produzione (addebitati all’acquirente) e dei costi ambientali poiché, seppur carta, appena aperta diventa un rifiuto. Ricordiamoci che la carta viene dagli alberi. In Islanda un movimento di consumatori (il noto “#noboxtoothpaste”) che riteneva, condivisibilmente, del tutto irragionevole la confezione di cartone del dentifricio, ha portato avanti una campagna di boicottaggio per cui i consumatori hanno scelto in maniera quasi unanime di acquistare solo dentifrici venduti senza cartone. Che risultato ha avuto?
Che le aziende che producevano dentifrici in cartone hanno iniziato a produrre dentifrici senza imballaggi in cartone.
Perché? Per proprio profitto: se un prodotto non viene venduto è necessario modificarlo a seconda della richiesta del consumatore.

Provate a pensare se smettessimo tutti, in massa, di acquistare prodotti impacchettati in imballaggi monouso prediligendo prodotti sfusi? Oppure se smettessimo di acquistare prodotti di aziende che non rispettano politiche lavorative e sociali preferendo aziende etiche. Sono abbastanza sicura che queste inizierebbero a produrre più prodotti sfusi per assicurarne la vendita.

Nell’attesa che politiche ambientali cambino

E’ innegabile, d’altro canto, che le politiche ambientali dei governi dovrebbero modificarsi di modo da spingere, tramite normative imposte, le aziende a comportarsi in maniera più responsabile nei confronti dell’ambiente. Ma nell’attesa che ciò accada, visto che i tempi di queste trasformazioni sono generalmente lunghi, abbiamo il potere, in qualità di consumatori, di fare pressione tramite le nostre scelte. Diventare consumatori responsabili significa essere consapevoli che ogni qual volta si procede all’acquisto di un bene, si presta il proprio consenso a tutto ciò che dietro suddetto bene si cela.

L’intento di questo post che elogia ironicamente al magico potere del boicottaggio, non è certo quello di lanciare una campagna di boicottaggio, è quello di sollevare delle riflessioni in relazione al potere enorme che ogni singolo cittadino detiene nelle proprie mani, tramite le proprie scelte di acquisto e portarlo a riflettere su tutto ciò che ogni singolo acquisto comporta.

Per quanto riteniamo di essere minuscole gocce in un’oceano, ed effettivamente lo siamo, ciò non significa che l’impatto delle nostre azioni sia irrisorio.
Di cosa è fatto l’oceano, d’altronde, se non di un’infinità di gocce?

One Comment

  1. isacco rossi

    è l’unica “arma” che ha il popolo responsabile … l’unione fa la forza e insieme possiamo cambiare il mondo!
    come si evince dal film ” il pianeta verde”

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