Food Watcher è la realtà ideata da Livia e Veronica, che intende svelare i “segreti del cibo”, ciò che le aziende non raccontano.E una guida ed uno stimolo alla riflessione, per portare i consumatori a porre in essere scelte più sostenibili per il pianeta e sane per l’individuo.

Come nasce Food Watcher

Food Watcher: la guida nel carrello alla ricerca del cibo più sano e sostenibile, ideata da Livia Soriente, laureata in scienze biologiche e Veronica Gussoni, laureata in scienze della comunicazione.

“Da estranee al mondo dei social – raccontano – circa un anno fa abbiamo aperto un profilo Instagram. Volevamo fare qualcosa di utile: far scoprire i segreti del cibo, quello che le Aziende tendono a non pubblicizzare, il dark side dell’alimentazione. Tutto è partito con un test fatto ad amici e conoscenti: sai dirci quanti g di zucchero ci sono in una lattina di Coca? Quasi nessuno ha saputo rispondere”.

Alimentazione e sostenibilità in numeri

Un aspetto allarmante e per nulla sostenibile della società occidentale è legato agli sprechi alimentari. Ricordiamoci che quando sprechiamo del cibo, stiamo sprecando non solo quello specifico alimento anche tutte le risorse impiegate per produrlo. I numeri sono impressionanti: nel complesso, spiegano le ragazze di Food Watcher, va perso circa il 30% del cibo prodotto. Il che significa sia cibo sottratto ad altri che energia sprecata per produrre e trasportare il prodotto, CO2 emessa per niente, discariche piene.

Una buona quota di vegetali, ad esempio, viene scartato (e sprecato) già in campo seppur ancora edibile, in quanto brutti, piccoli, grossi, macchiati. Fattori che li rendono meno appetibili all’occhio del consumatore abituato a vedere sugli scaffali dei supermercati frutta e verdura perfette. In natura, non è sempre così.

Tuttavia nel 2020 l’Osservatorio Waste Watcher, ha stimato un calo del 25% circa nello spreco alimentare domestico. Un’attenzione che vale per l’ambiente e anche per il portafoglio. Lo spreco domestico di cibo in Italia costa € 4,9 a nucleo familiare al giorno, per un totale di 6,5 miliardi € e un costo nazionale di circa 10 miliardi.

Da un punto di vista di impatto ambientale, oltre agli sprechi è necessario prendere in considerazione anche l’aspetto del consumo di carne: gli allevamenti intensivi, infatti, oltre ad essere causa di atroci sofferenze per gli animali che spesso non vengono trattati in maniera dignitosa, sono anche una delle maggiori fonti di emissioni di gas serra.

I dati Eurispes evidenziano che la percentuale di vegetariani/vegani nel 2020 era il 9%, in crescita. Un numero crescente di persone sceglie di ridurre o eliminare del tutto il consumo di carne. I motivi sono sia di matrice etica che legati alla tutela ambientale. Negli ultimi 10 anni le evidenze scientifiche che collegano gli allevamenti intensivi al riscaldamento climatico, all’inquinamento e alle problematiche sanitarie si sono moltiplicati. Molti rifiutano di essere causa di sofferenze per gli animali. Sotto questo aspetto, confermano le Livia e Veronica, i social, divulgando filmati e immagini raccapriccianti provenienti da allevamenti intensivi, hanno contribuito in maniera significativa.

Sostenibilità alimentare e politica

“Vediamo due forze contrastanti in lotta. – spiegano le ragazze di Food Watcher – Da una parte del ring l’attenzione per la sostenibilità dei singoli, in evidente crescita (sostenibilità significa tante cose, non solo “vegetale” ma anche “locale”, “lavoro etico”, “eco-packaging”…per noi tutto questo è racchiuso in “clean”, che è un concetto che ci piace molto perché inclusivo oltre che a basso impatto) dall’altro troviamo la politica che ancora non ha sposato la causa, nonostante le belle parole tipo “farm to fork” (il programma europeo per la sostenibilità), “green deal”, “green economy”.

Di fatto la politica sostiene ancora gli interessi di breve periodo delle lobby più che quelli di lungo periodo della collettività. E questo è un problema poiché senza direttive pro-sostenibilità, la realtà è che troviamo al supermercato la carne proveniente dal Brasile e la passata di pomodoro entrambi “sottocosto”, per fare due esempi. Nel primo caso si ignorano e scaricano sulla collettività i costi ambientali e sanitari. Nel secondo si fanno politiche di marketing aggressivo sulle spalle dei braccianti sfruttati”.

I consigli di Food Watcher

Livia e Veronica spiegano che sono molti gli aspetti che vale la pena migliorarne nella nostra vita. Livia e Veronica sostengono che la chiave per il cambiamento è l’assunzione di consapevolezza, individuale e collettiva, sulla necessità di cambiare rotta.

Ad esempio: scegliere frutta e verdura con attenzione alla provenienza geografica e alla stagionalità, preferire quella “brutta fuori” ove possibile, non esagerare con aria condizionata e riscaldamento, passare all’acqua di rubinetto anziché in bottiglia, acquistare sfuso, preferire il cibo vegetale ai derivati animali… Sono tanti piccoli accorgimenti che, se adottati da ciascun individuo, possono davvero fare la differenza!

Molti altri approfondimenti a tema sui profili social di Food Watcher che potete trovare a questo link.

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