Questo approfondimento è frutto di un evento di TerraLab Onlus e Change fo Planet: la presentazione del progetto [Don]Ne Vogliamo Parlare. E’ un discorso importante da approfondire e articolato da analizzare. Parte, tuttavia, da un presupposto molto semplice: la società in cui viviamo è complessa e, proprio in virtù di questo, esistono più livelli di oppressione.
Le origini del Femminismo Intersezionale
Intersezionalità è un termine coniato dall’attivista e giurista statunitense Kimberlé Crenshaw nel 1989 che indica l’intersezione di più identità sociali e le possibili oppressioni e discriminazioni derivanti da esse.
Il femminismo intersezionale è un movimento che nasce in risposta al femminismo della prima ondata, legato alla borghesia del XIX e dell’inizio del XX secolo che faceva riferimento ad un unica voce: quella della donna bianca, eterosessuale, del ceto medio. Quello intersezionale, invece, è un tipo di femminismo inclusivo, che tiene conto delle diverse realtà di ogni donna e che ascolta ogni voce.
Questo tipo di movimento si basa su un concetto semplice: esistono più livelli di oppressione.
A lungo è stato comune il pensiero secondo cui tutte le donne fossero discriminate allo stesso modo. Questa semplificazione di quella che invece è la realtà, sottrae voce ad un enorme numero di donne che, nei multistrati del concetto di discriminazione, oltre a quella di genere ne hanno dovute subire molte altre. Ad esempio: una donna di colore senza dubbio non subisce le stesse discriminazioni di una donna bianca, così come una donna bianca omosessuale non subisce le stesse discriminazioni di una donna bianca eterosessuale.
Cultura, classe, orientamento sessuale, colore della pelle, fisicità, disabilità: tutte queste intersezioni, che costruiscono l’identità di una persona, possono anche demolirla attraverso le oppressioni derivanti dall’esterno.

Il patriarcato fa male anche agli uomini
La cultura in cui viviamo affonda le sue radici nella dominanza dell’uomo bianco etero, attorno a cui tutto gravita. Gli standard di bellezza e dunque accettabilità sociale, gli standard di produttività, la produzione di massa legata esclusivamente al profitto (a scapito dell’ambiente e delle comunità locali) così come gli allevamenti intensivi legati al dominio (e abuso) del potente sul più debole: sono tutte declinazioni della stessa matrice.
Un intervento con eccezionali spunti di riflessioni è stato quello di Daniela Noel, donna transgender, che ha raccontato le due facce della medaglia legate alle aspettative sociali sul genere e sulla normalizzazione di comportamenti inaccettabili. La cultura patriarcale che permea la nostra società lede profondamente anche gli uomini, non solo le donne, che sono ininterrottamente obbligati ad aderire a determinati standard di mascolinità, spesso con danno alla sfera emotiva della persona: il valore di un uomo bianco è direttamente proporzionale al guadagno economico, alla posizione sociale e alla mascolinità (intesa anche come mancanza di emotività: es. gli uomini “veri” non piangono).
D’altro canto le donne, nate e cresciute in questa società, hanno talmente interiorizzato determinati aspetti socio-culturali che neanche talvolta ci prestano attenzione. Una donna transgender che, invece, ha avuto modo di assaporare entrambe le realtà, si rende subito conto che molte delle cose che sono tacitamente (e spesso inconsapevolmente) accettate dalle donne, sono senza dubbio vere e proprie ingiustizie sociali.
Le infinite intersezioni

Ogni persona è definita da un’infinità di elementi: dal genere, dalle origini, dalla cultura, dalla religione, dalle scelte alimentari, dalla forma fisica. Siamo un’infinito groviglio di realtà, ciascuna delle quali rappresenta anche la possibilità di una oppressione o discriminazione. Soffermarsi in questa sede a scandagliarle tutte è impossibile: sicuramente nel corso delle prossime settimane qui verranno sviluppati approfondimenti tematici legati a ciascuna di queste aree.
Abbiamo bisogno del femminismo per una società più equa e abbiamo bisogno che questo sia intersezionale per dar voce a tutte quelle realtà che ancora non ne hanno.
Per il momento mi sento di consigliare il libro di Bossy: “Anche questo è femminismo” che affronta tutti questi esperti attraverso la competenza di espert* di settore per ciascun argomento, in maniera esaustiva ma allo stesso tempo fruibile dal grande pubblico.
Qui è possibile scaricare il REPORT2021
